domenica 18 novembre 2007

Demolizioni e fusi orari

Ho già detto del fatto che il fumetto ricopre oggi ruoli molto diversi da quelli solitamente attribuitigli, riempiendo spazi colpevolmente lasciati vuoti da blasonate case editrici della letteratura “maggiore”.
Ulteriore prova di quest’affermazione può trovarsi in un lavoro coreano - edito in Italia nel 2006 - che racconta un episodio storico della guerra di Corea [1]: il ponte di Nogunri. 
- Il ponte di No che? – 
Se avete pensato così, sappiate che sono parole identiche a quelle che mi sono passate per la mente leggendo il titolo rosso stampato sulla copertina di questo volume di oltre 600 pagine della Coconino Press, parte di un progetto in più tomi che, purtroppo, non ha ancora visto il compimento.
Col tempo ho capito: ero stato dietro ad un muro troppo alto, per vedere quel ponte. Ma veniamo al racconto.
La storia è quella vissuta in prima persona da Chung Eun-Yong (uno dei due autori del fumetto ed autore unico del libro da cui il fumetto è tratto) che, nel 1950, all’avanzare delle truppe nord coreane, è costretto ad abbandonare con la sua famiglia il villaggio in cui vive e, pochi giorni dopo, a separarsi dalla moglie, dai due figli e dai vecchi genitori.
La prima parte del racconto si incentra sulla lunga fuga di Chung, sui drammi degli sfollati cui assiste, sulla sua ricerca dei familiari perduti, fino a terminare con il ritrovamento della moglie nel campo sfollati n. 19002.
L’incontro dei due coniugi, che normalmente costituirebbe la fine dell’angoscia connessa alla separazione è, in realtà, nella tragedia narrata, solo il preludio della seconda parte della narrazione, quella ben più cruda e dolorosa.
Chung, infatti, apprende dalla moglie della morte dei due figli e dei propri genitori, uccisi da uomini che aveva creduto alleati: i soldati americani.
A questa deposizione Chung ha aggiunto quelle raccolte negli anni dalla viva voce di altri testimoni, ricostruendo il quadro dei fatti: truppe americane in ritirata, cadute giorni addietro in un'imboscata dei soldati nord- coreani travestiti da profughi, nel luglio del 1950 avevano incontrato nei pressi di No gun Ri la colonna di profughi di cui faceva parte la famiglia di Chung; temendo la presenza di infiltrati nordcoreani, avevano deciso un “attacco preventivo”; i profughi erano stati, dunque, prima bombardati dagli aerei, poi colpiti dalle raffiche delle mitragliatrici; avevano cercato rifugio sotto gli archi di un ponte ferroviario (quello che dà il titolo al libro) e lì erano restati quattro giorni e quattro notti, senza né acqua né cibo, bersagliati dai soldati che uccidevano chiunque osasse muoversi.
Quando gli americani erano andati via, delle circa 500 persone che erano fuggite, erano rimasti in vita solo in 25, in maggioranza bambini a cui i genitori avevano fatto scudo col proprio corpo.
Questi i fatti, a me ignoti - come detto - e credo anche ai più.
Ma, come accennato, la colpa di questa ignoranza non va cercata in Corea. Essa sta tutta in un muro costruito a migliaia di kilometri di distanza da No Gun Ri: il muro di Berlino.
Della vicenda, infatti, l’opinione pubblica coreana e mondiale, non ha saputo nulla sino alla fine della contrapposizione dei blocchi sovietico ed americano, sino alla caduta del muro che ha diviso in due una città, un popolo, il mondo intero, un muro troppo alto che ha impedito di vedere quei fornici sporchi di sangue e che, inoltre, ha imbavagliato con ferro e cemento le voci di vittime invocanti giustizia.
Per la Corea, in verità, e per i morti di No Gun Ri, il muro non è stato demolito nel 1989, ma – ironia dei fusi orari della storia – solo nel 1997, quando alcuni dei coreani sopravvissuti all’eccidio, riunitisi in associazione, hanno potuto denunciare ufficialmente l'accaduto.
La loro denuncia è stata raccolta dai reporter dell'Associated Press che hanno iniziato un serio lavoro di inchiesta che li ha portati a scoprire ed a pubblicare la verità - ad onta delle sconfessioni dell’esercito statunitense - fino al conseguimento, per la serietà ed accuratezza della indagine, del premio Pulitzer [per chi fosse interessato ad approfondire, Wikipedia.org offre un accurato resoconto alla voce NO GUN RI (in inglese)].
Unica testimonianza stampata di quei fatti è oggi in Italia un fumetto che, lungi dall’essere racconto per bambini, può senza dubbio prendere posto nelle biblioteche tra importanti opere storiche, caratterizzandosi per la serietà ed il rigore della testimonianza autoptica.

EPILOGO

Il primo volume del ponte di No Gun Ri, tuttavia, non si chiude con la cronaca della strage, giungendo - nella narrazione - sino all’inverno del ‘55.
Chung corre ancora, come quando dovette abbandonare il suo villaggio. Tuttavia stavolta non fugge: va verso casa.
Apre la porta.
Sua moglie è a letto; accanto a lei, un neonato. Chung lo solleva, il bimbo inizia a piangere.
E piange anche Chung, impastando nelle lacrime la gioia di chi torna a vedere il futuro con il dolore, ancora vibrante, di un padre privato dei suoi figli, mentre le urla del piccolo si stemperano nel fischio di un treno che, nella sua corsa, supera il buio di quel ponte a due archi sul quale tante altre volte sarà costretto a tornare.
Vito Carella

P.S. Termino quest’articolo con due ringraziamenti e delle scuse: 
- un ringraziamento a tutti quelli che hanno letto (anche ove non avessero gradito) il precedente articolo su Gen di Hiroshima (ovviamente ringrazio con più affetto chi lo ha gradito!!!);
- un ringraziamento a Giulio, per avermi consigliato il libro di cui ho parlato [consiglio col quale si è ampiamente riscattato da alcuni infelici suggerimenti per i quali ha ricevuto diverse litanie di improperi];
- delle scuse a tutti per la fretta con cui mi capita di scrivere e postare i pezzi, dovute al fatto che posso dedicare a ciò solo i pomeriggi domenicali;
- delle scuse ad Egidio, perché non mi sento ancora pronto per affrontare un articolo su Maus: prometto che ci lavorerò.


[1]
La Corea, dopo oltre un trentennio di dominazione giapponese, durante la seconda guerra mondiale era stata occupata a nord dall’esercito sovietico, a sud da quello statunitense. Alla fine delle ostilità, il paese venne diviso in due, con un confine segnato lungo la linea del 38° parallelo. Nell’area settentrionale si formò un governo comunista filosovietico; in quella meridionale un governo nazionalista filoamericano. Nella notte del 25 giugno 1950, la netta contrapposizione ideologica, la strettissima contiguità, il clima di sospetti tipico di una guerra fredda agli inizi, spinsero le truppe nord coreane ad invadere il sud, raccogliendo, inizialmente, una serie di folgoranti successi che portarono sino all’occupazione di Seoul. Le sorti del conflitto si riequilibrarono in seguito, con la controffensiva delle truppe del Sud e la conclusione di un accordo di pace che confermò lo stato preesistente alla guerra stessa. Furono 1.500.000 i civili morti nel conflitto, 1 milione di nordcoreani e 500.000 sudcoreani.

5 commenti:

ciampax ha detto...

La realtà dei fatti e delle misconoscenze che abbiamo degli eventi di guerre tanto lontane da noi, ma anche delle condizioni di vita di popoli che sono molto più a nostra portata di conoscenza, sono innumerevoli.

La caduta del Muro, come dice Vito, ha fatto sì che si conoscessero orrori ed errori che, fino a forse neanche 20 anni fa, avevamo imparato a conoscere solo per immagini toccanti di film che raccontavano storie a senso unico, quello del mondo occidentale di cui facciamo parte.

Ma le verità dietro l'incomprensibilità tra l'est e l'ovest sono svariate. Nel 2001, mi trovavo in Erasmus in Romania, a 20 Km dal confine con la Moldavia, ex CSI, exex URSS. Un giorno mi portarono ad ammirare il confine e la dogana da una collinetta a circa 500 metri di distanza dal posto di blocco: la scena che mi si presentò aveva del ridicolo, dal mio punto di vista.

Un corridoio di circa 10 metri di larghezza segnava il confine tra Romania e Moldavia; tale corridoio era diviso, da alte reti di almeno 3 metri, in 3 strade, due laterali più piccole, dove soldati armati pattugliavano ogni centimetro della zona e una centrale, più larga, occupata da mezzi pesanti (una camionetta e due carri armati). Quattro torrette con soldati armati controllavano il passaggio sulla strada E436 (quella che passa il confine in quel punto) e doppi controlli, effettuati dalle milizie romene e moldave, garantivano la sicurezza alla zona.

Ora, l'Est europeo avrà anche abbracciato la riforma e si sarà aperto al mondo, ma secondo me è tutto solo una grossa bugia.

Giudicate voi!

Dopo questa digressione, che magari non centra niente, ringrazio ancora una volta Vito che presenta in questa sede un'opera assolutamente non standard e che meriterebbe di essere letta. Soprattutto per non dimenticare cosa l'uomo, nascondendosi dietro il vessillo della Pace e della Libertà, può fare!

Giulio Laurenzi ha detto...

Ho deciso di non farti più superflui complimenti (a questo punto abbiamo capito tutti che hai una sensibilità di osservatore/narratore fuori dal comune - e questo è l'ultimo ;-).
Faccio quello in cui riesco meglio: cerco il pelo nell'uovo.
La sinossi del volume è esauriente e piacevole da leggere, ma al tuo posto mi soffermerei in un'analisi approfondita "anche" delle tecniche di sceneggiatura e disegno, nel bene e nel male, utilizzando come metro il tuo senso estetico di lettore che, a mio modesto avviso, è mooolto più che sufficiente (questo per non farti accampare scuse di alcun genere).

Venerdì sera ci dovrebbe essere la nostra riunione pizza (seguirà una comunicazione via e-mail di Roberto).

NON MANCARE e non mancate,

Giulio.

Giulio Laurenzi ha detto...

Prego :-P

Anonimo ha detto...

Il disegnatore, Park Kun-Woong, rende graficamente con grande efficacia questo volume.
E’ disegnato in modo assai particolare: interamente a pennello su grandi fogli di carta di riso (spesso infatti si vedono le “stropicciature” caratteristiche di tali fogli riprese in fase di scansione fotografica), colorato a toni di grigio, il risultato è estremamente pittorico, diverse tavole sono dei veri e propri acquerelli in bianco e nero.
Nella seconda parte del volume, però, lo stile subisce una modifica. I tratti esili e poetici della prima vengono sostituiti da un segno più spesso e graffiato, e da colori scuri che replicano la durezza e il clima tragico della narrazione.

Giulio Laurenzi ha detto...

Ottima integrazione anonima...